È dichiarata e auspicata ovunque, ma non so quanto realmente si creda nella forza politica delle donne in quanto tali. Ritengo che “donna”, al pari della categoria “giovane”, “disabile”, “migrante”, rientri in quei target che fanno comodo perché semplificano la comunicazione e la cognizione del soggetto. Soprattutto, sembra sia sufficiente citarli per dare robustezza a una policy e non approfondirne la composizione per poter poi ragionare in modo intenso.
Discutere in astratto, ad esempio, a valle della nomina del nuovo Governo Draghi e delle lamentele di una parte di donne che solo ex post hanno visto sfumare una possibilità di posizionamento ai livelli più alti dello Stato, è secondo me inutile oltre che dannoso. La mutilazione subita dalle donne nelle scelte di questo Governo (ma non è né il primo né l’ultimo esempio) è frutto di ben altro, come la complessa e difficile rappresentatività delle donne nei luoghi politici; è conseguenza diretta di una voce “muta” e del fatto che molto spesso le voci delle donne sono espresse in luoghi – anche politicamente molto interessanti – frequentati prevalentemente o esclusivamente da donne.
Il forte senso di ipocrisia che si delinea ad ogni nomina e ad ogni cambiamento negli organi di Governo, sia centrali che locali, è una tematica complessa: la politica è costellata di storie di indifferenza, di non solidarietà, di storie attendiste che non vanno di sciabola sulle competenze, sulle capacità, sul saper essere e saper fare. Le pagine della storia al femminile si costruiscono nel tempo e si costruiscono secondo il concetto – tutto maschile – per cui “politica” equivale a “comando”. E se passa questo concetto, allora siamo già in fortissima criticità. Se ancora passa il concetto secondo cui il solo essere donna rappresenta motivo di inclusione nelle scelte democratiche, allora siamo lontani dal concetto di parità.
In alcuni casi, sono necessari ragionamenti progressivi attraverso cui probabilmente si può costruire la base per una riflessione ben più ampia: non è il solo numero delle donne a fare la differenza, ma la forza che ne deriva e il dibattito che si apre quando accade qualcosa e non dopo.
Basterebbe non avere paura e, ad esempio, dichiarare e dimostrare con i fatti quanto sia importante far arrivare una voce femminile in deleghe/luoghi storicamente declinati al maschile. Un bel confronto si può ancora stimolare, su quel limite culturale che ascrive alla simbologia un potere e, forse, un’aspirazione al comando.
Scrivo oggi per due sollecitazioni e un appello al neonato Governo: la prima, battiamoci per la presenza delle donne nei luoghi misti, chiedendo anche cambi di atteggiamento semplici, come le convocazioni degli incontri ad orari che vadano bene a tutti e non solo agli uomini. La seconda, lottiamo perché si avveri un cambio vero di atteggiamento nei confronti delle donne, non siamo una riserva di caccia da aprire al momento in cui serve. Le cosiddette quote rosa probabilmente non sono più necessarie per come sono state pensate, serve un nuovo modo di vedere le donne, come portatrici di competenze e capacità.
Si può essere donna e contemporaneamente inadatte per un ruolo o per una posizione. Forte la provocazione della deputata PD Gribaudo in un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 22 febbraio: “Liberare il campo dallo stereotipo … E poi, questa vera effrazione dell’intelligenza per cui a noi si affidano compiti da nutrice …bisogna rendersi indisponibili ai giochi di riparazione”.
Su questo, lancio anche io una provocazione: se oggi mi venisse chiesto di nuovo di ricoprire un ruolo pubblico, lo accetterei solo se nella storia quel ruolo fosse stato ricoperto prevalentemente da uomini.
Un appello al Governo da donna che ha amministrato nella terza città d’Italia con una delega sempre assegnata ad un uomo: attenzione alla generalizzazione sulle donne e su come sia necessario impegnare le risorse del Recovery Fund.
Potrebbe non essere utile solo decidere una percentuale a tavolino su quanto destinare all’occupazione femminile; fondamentale si rende ora approvare documenti che evidenzino obiettivi da raggiungere e indicatori quali-quantitativi chiari e monitorati, accompagnare le donne verso la partecipazione al mercato del lavoro, con percorsi formativi adeguati e con una spinta importante verso le professioni tecnico scientifiche, preparare le donne alla politica con la partecipazione a luoghi misti che consentano di far sentire la loro voce, affrontare con coerenza il fatto che le donne non si aiutano solo ed esclusivamente con i percorsi di conciliazione, ma si supportano prima, quando devono prendere coscienza di essere persona e non un genere a parte in qualche modo dietro agli uomini. Qui si apre una riflessione ampia sul ruolo delle famiglie e della scuola, ma ci sarà tempo per affrontarla.