L’influencer per la tua azienda? Lo sceglie l’AI. Parola di Buzzoole

"Oggi la sfida è innovarsi continuamente, ascoltando il mercato che cambia in continuazione". E Buzzoole, scaleup napoletana, la vince con l'influencer marketing

Il mercato dell’influencer marketing sta vivendo un vero e proprio boom anche in Italia, con una crescita a doppia cifra e un valore stimato nel 2019 che sfiora i 250 milioni di euro (fonte: Publicis Media 2019). Con 20 milioni di italiani che seguono almeno un influencer e l’85% di loro che dichiara di considerare i consigli di questi “opinion leader” quando deve comprare un prodotto, non stupisce che sempre più aziende si affidino all’influencer marketing. Ma come scegliere il testimonial giusto per il prodotto che si vuole lanciare? Buzzoole, innovativa azienda con base a Napoli, ha applicato l’intelligenza artificiale al settore dell’influencer marketing proprio per rispondere a questo quesito. Ne parliamo con il co-fondatore e CTO dell’impresa, Gennaro Varriale. 

Come funziona l’intelligenza artificiale applicata all’influencer marketing? 
“L’intelligenza artificiale è un termine un po’ abusato, spesso viene adoperato proprio per cavalcare l’onda del marketing. In realtà tutto parte dai dati, perché mai come in questo campo l’informazione è potere. Noi abbiamo un vastissimo database che contiene anche i dati non pubblici messi a disposizione proprio dagli influencer. Questi dati, che tecnicamente si chiamano first party data, riportano i post, le interazioni, le visualizzazioni e l’engagement ottenuto dagli influencer. I nostri algoritmi, tra le altre cose, ci permettono di capire la qualità dei contenuti, come si sono ottenuti i follower e se questi sono veri (perché esistono anche metodi per barare sui follower). Infine, riusciamo a definire la brand affinity per capire qual è l’influencer più adatto per una determinata azienda. E se orientare la scelta su un macro influencer (grandi nomi famosi) o un micro influencer (personaggi meno famosi ma molto noti in determinati settori o nicchie)”. 

Eppure nonostante la crescita del mercato, alcuni grandi player che erano stati precursori nell’utilizzo e nel coinvolgimento degli influencer hanno deciso di rinunciare a questo tipo di marketing…
“È vero e credo che questo sia dovuto a un vecchio approccio all’influencer marketing. Banalmente un’azienda non può considerare soltanto quanti follower ha un determinato personaggio, ma deve valutare un vasto ventaglio di fattori. Altrimenti la campagna rischia di fallire”. 

E come si fa a sapere se la campagna è riuscita? 
“Il nostro sistema funziona per KPI (Key Performance Indicators) e su metriche misurabili. L’azienda ha a disposizione dei report e può sapere il ROI (Return On Investment). In questo modo non soltanto sa quanto ha speso, ma anche quanto la sua campagna è stata efficace”.  

Siete nata come start up, ma adesso siete un’azienda solida nella cosiddetta fase di Scale up, ovvero di consolidamento del mercato e inizio di internazionalizzazione, quali sono le difficoltà? 
“Abbiamo iniziato in due, adesso siamo cinquanta. La difficoltà al principio era far capire cosa facevamo, perché quando abbiamo iniziato si trattava di un mercato ai primordi. Tuttavia, anche lì i dati e le metriche ci hanno aiutato a far comprendere agli investitori il valore del nostro business. Oggi la sfida è innovarsi continuamente, ascoltando il mercato che cambia in continuazione. Direi che un aiuto da parte delle istituzioni per le aziende come le nostre potrebbe arrivare nel processo di internazionalizzazione. Avere un supporto rispetto a questo tema sarebbe importante”. 

Siete nati a Napoli, il Sud è un buon terreno per le start up? 
“Direi di sì. Credo che Napoli abbia le stesse difficoltà per le startup di tante città italiane. E le dirò di più, forse la pandemia aiuterà la città da questo punto di vista. Molti giovani sono infatti tornati e tra questi anche molti cervelli in fuga. Se la città riuscirà a tenerseli, potrà facilmente diventare un hub di innovazione tecnologica”.

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