Il video del Mottarone e la lezione di Giorgio
Prima ancora della discussione sul diritto-dovere di cronaca quel che è mancata è l'empatia. Continuiamo da anni a perdere la fiducia del lettore tacciandolo di essere un webete o per una manciata di click o un briciolo d'audience, ma questa volta il webete non ci sta più.
Il mio amico Giorgio, un po’ di tempo fa (ma non tantissimo), ha perso il padre. Un brav’uomo amato e benvoluto da tutti. Lo ha perso all’improvviso, stroncato da un infarto appena uscito da un ristorante con degli amici. Si è accasciato a terra e non si è più rialzato.
Un collaboratore di un noto quotidiano locale, passando di lì per caso e dopo aver notato il trambusto, ha scattato una foto dell’uomo a terra in attesa dei (vani) soccorsi e il giorno dopo la foto del papà di Giorgio era in bella vista, online. Questa è l’ultima immagine che hanno le due sorelle di Giorgio del loro padre.
Usciti dalla chiesa dopo i funerali, mi è stato chiesto solo “perché”. Non vi erano motivi di cronaca reali già per definire la sua morte una notizia meritevole dello spazio in pagina. Figurarsi per decidere per la pubblicazione di quella foto. Ecco, per restituirvi quello che sta accadendo con la pubblicazione del video del Mottarone moltiplicate per N le famiglie di Giorgio e aumentate a dismisura il livello di strazio e avrete un’idea che – a prescindere da sofismi e posizioni legittime su diritto e dovere di cronaca – quella che è mancata è l’empatia. E continuerà a mancare.
Viviamo tempi diversi dall’attentato alle Torri Gemelle o dalla protesta di piazza Tienanmen. Un tempo, il documento video e foto era una rarità, prerogativa di professionisti del settore. Oggi, al contrario, siamo invasi di contenuti multimediali. Non solo: ognuno è assolutamente capace di girare contenuti ultradefiniti con strumenti a disposizione nella propria tasca che possono essere immessi nel circolo dell’informazione senza preavviso. Non vi è più la selezione della fonte di informazione: non si accende la tv o si compra il giornale verso cui siamo fidelizzati. L’informazione ci travolge.
Come ricordava tra l’altro la brava Arianna Ciccone di Valigia Blu:
Quei contenuti non sono più solo a disposizione in edicola e chi va ne compra una copia. Quei contenuti sono pubblicati sui social, entrano nei nostri feed, nelle nostre “case digitali” ed è per questo che a mio avviso scatta l’esigenza di mobilitarsi e intervenire da parte degli utenti: “Questi sono spazi comuni, abbiatene cura e rispetto”.
Arianna Ciccone, Valigia Blu
Quello che distingue il video del Mottarone da documenti simili è il modo in cui è declinato. Quella sensazione che non aggiunga niente al racconto se non il raccapricciante confronto con la morte che passa sul viso delle persone coinvolte. Quel poterne carpire i dettagli. Non certo come l’immagine dell’anonimo che si getta dalle Torri in fiamme, indistinguibile e quasi irreale. E nemmeno come quella del crollo del Ponte Morandi, perché per un reale confronto con quanto pubblicato sul Mottarone si dovrebbe prendere una GoPro e fissarla sui volti dei conducenti della macchina che volava nel buio.
Questo il famigerato “popolo del web” – che poi sono i lettori, che dovrebbero in qualche modo sostenere economicamente il lavoro del giornalista – l’ha notato, perché il checché la categoria possa pensarne non sono tutti “webeti” come disse quel direttore lì assai bravo e con un sacco di follower.
Perché sì, l’informazione ci travolge. Ma perché resta il fatto che il media resta una cassa di risonanza incredibile.
Per una manciata di click o un briciolo d’audience ancora una volta si perpetra l’errore che l’editore (web e non) persegue dal 2015: non considerare le ripercussioni sulla fiducia dell’utente. Quelle che sono basi spicciole del digital marketing mai applicate a un settore che ancora soffre di un certo corporativismo.
Quelle che portano ancora oggi a leggere dati sulla sfiducia del lettore (che quello lì continua a chiamare webeti, apro e chiudo parentesi) come quelli riportati dall’Edelmann Trust Barometer e magistralmente sintetizzate da Pier Luca Santoro di DataMediaHub.
I giornalisti hanno la fiducia di poco più di un terzo degli italiani [36%]. In calo di tre punti percentuali rispetto all’anno precedente. E solamente il 27% dei nostri connazionali ritiene i giornalisti essere una fonte d’informazione affidabile. Ed ancora, per il 69% degli italiani i giornalisti cercano di ingannare le persone dicendo cose che sanno essere false, o comunque enfatizzandole strumentalmente. In Italia il 75% degli intervistati ritiene che i media non stiano facendo affatto bene per quanto riguarda obiettività e diffusione di notizie che non siano parziali, e di parte. Il 71% crede che la maggior parte delle fonti di informazione siano più interessate a supportare un’ideologia, una posizione politica, piuttosto che informare il pubblico, le persone.
PIer Luca Santoro, DataMediaHub
Sul Mottarone la presa di posizione netta e chiara da parte del pm titolare delle indagini Olimpia Bosso, che sostiene che il video non andava diffuso perché è vietato, fa solo da cornice. Il mondo è pieno di documenti usciti dalle Procure o dagli avvocati che hanno permesso ai giornalisti di fare veramente i giornalisti. Il problema è il motivo.
Mentre attendiamo intanto una presa di posizione netta da parte di un Ordine (che in Italia dovrebbe costituire un privilegio unico in Europa) ancora in silenzio quando vi scriviamo, che potrebbe in qualche modo dare il suo fondamentale contributo mettendo una pietra miliare sulla questione deontologica, la reazione del lettore – cliente dovrebbe essere il faro guida per capire in che torbida situazione abbiamo deciso di muoversi.
Se non bastasse già quello che sappiamo ha provato Giorgio.