Copyright: precursori o un altro pasticcio all’italiana?
Secondo Confindustria Digitale, Anitec-Assinform e Asstel la proposta di decreto legislativo di recepimento della Direttiva europea sul copyright contraddice... la direttiva stessa. Uno stop che rallenta un'Italia altrimenti virtuosa sul tema rispetto agli altri Stati membri UE.
“La proposta di decreto legislativo di recepimento della Direttiva europea sul copyright (Eu 2019/790) presentata dal Ministero della cultura, contiene aspetti di grande criticità che appaiono in contrasto ai principi della Direttiva stessa, disattendendo le Linee Guida pubblicate dalla Commissione europea, che mirano ad armonizzare a livello europeo le normative nazionali sul diritto d’autore, nell’ottica di realizzare il mercato unico digitale“.
A leggerla così, la nota stampa di Confindustria da sola sembra segnare l’ennesima debacle su un argomento (copyright) che sembra essere tallone d’Achille nonostante mai come questa volta l’Italia ha giocato d’anticipo (nei limiti di un già sostanzioso ritardo comune a tutti gli stati UE).
L’Europa ha dettato la linea già un po’ di tempo fa e tra i principali argomenti sotto i riflettori c’è il tema del diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, attesa da tempo da chi lavora non solo nello spettacolo ma anche nel giornalismo e nella cultura. I colossi del web, infatti, secondo l’UE devono formalizzare accordi con gli editori che a loro volta possono vedersi corrispondere cifre economiche per l’utilizzo di contenuti di natura giornalistica e/o culturale. Le piattaforme non potranno utilizzare contenuti senza il permesso dei loro creatori. Con un sistema di rigidità scalare, inoltre, è pace per tutti coloro che temevano il famoso bavaglio web.
“Siamo tra i primi in Europa a legiferare sulla direttiva relativa al copyright”, esultava ad aprile il sottosegretario agli Affari Europei Enzo Amendola, e aveva ragione: gli altri Stati UE sono in forte ritardo. La necessità e volontà di recepire le indicazioni comunitarie si è formalizzata lo scorso aprile, con grandi aspettative tanto dei membri dell’Esecutivo e del Parlamento quanto di associazioni come SIAE e FIEG.
Ed è proprio sulla questione dell’editoria che si consuma l’ennesimo scontro meramente interpretativo del diritto d’autore, soprattutto nella (mai compresa del tutto) giungla del web.
I punti di disaccordo tra associazioni e Governo sul Copyright
In primis, a far storcere il naso a Confindustria Digitale, Anitec-Assinform e Asstel è il tema della “Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo online”. In tal senso, la proposta ministeriale introduce un “obbligo a concludere un’intesa contrattuale fra service provider ed editori (anche in forma collettiva) per gli usi online delle pubblicazioni” e, in caso di mancato accordo, prevede l’intervento di AGCOM per “stabilire quale delle offerte formulate sia la più equa oppure, se non reputa idonea alcuna offerta, determinare d’ufficio l’equo compenso“.
“Si rinnegano così – spiegano le associazioni – non solo il testo della Direttiva, che non impone nessun obbligo a contrarre come forma di tutela del nuovo diritto connesso, né introduce forme di equo compenso, ma soprattutto si disattende il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica, da cui discende la libertà negoziale delle parti, alla base dell’economia di mercato”.
Altro punto focale “conferma i problemi più volte espressi in merito, da un lato, alla traduzione italiana del concetto giuridico di best efforts contenuto nella Direttiva, dall’altro al mantenimento di un equilibrio tra prestatori di servizi e titolari di diritti”. Questo è un argomento centrale: in pratica si chiede ai top-player del Web di compiere i best efforts, appunto, per richiedere ai detentori dei diritti le licenze delle loro opere.
Un problema che in Italia diventa praticamente sintattico: “La traduzione di best effort ripresa dal decreto è quella di massimi sforzi. Ma su questo punto, tanto la Commissione quanto i ricorsi interpretativi svolti da altri Stati membri hanno evidenziato come tale traduzione massimalista non sia coerente con quella originale e innovativa della Commissione” in quanto la traduzione corretta di best effort è “massimi sforzi possibili”, che significa chiedere alle piattaforme l’impegno a tutelare il diritto di autore attraverso un comportamento proporzionato, ragionevole e diligente.