Si ripropone anche in questo periodo il tormentone sulle accise, come accade ad ogni rincaro dei prezzi sulla benzina e sui carburanti che, purtroppo, ciclicamente ritorna ad influire sui mercati e sulla capacità di spesa dei cittadini, in quanto elemento che condiziona il paniere dei beni di consumo (dalla benzina stessa ai trasporti, dalla spesa quotidiana ai servizi energetici).
Un tema ridondante, spesso affrontato dalla classe politica italiana in modo altisonante ma mai risolutivo: si pensi a quando nel lontano 2014 l’allora Premier Matteo Renzi promise, nel corso di un’ospitata alla trasmissione Porta a Porta, di riorganizzare e ridurre le accise sulla benzina.
“Ma vi pare possibile – diceva Renzi – che si paghi ancora la tassa sulla guerra in Etiopia?”. Ebbene, si. Sul carburante gli italiani hanno pagato, per lungo tempo, ancora il finanziamento della guerra d’Etiopia (1935-1936) con un’accisa di 1,90 lire (0,000981 euro) la crisi di Suez del 1956, il disastro del Vajont del 1963, l’alluvione di Firenze del 1966, i terremoti del Belice, del Friuli, dell’Irpinia, dell’Aquila e dell’Emilia Romagna. Anche se, in verità, sono voci che non si distinguono più. Ma vedremo più avanti il perché.
Il pasticcio della politica sulle accise
Una situazione distopica, paradossale, a cui sarebbe necessario porre rimedio. La promessa di Renzi non solo cadde nel dimenticatoio ma divenne anche una beffa: basterà aspettare pochi anni, fino alla legge di bilancio del 2019, quando troverà attivazione il D.L 91/2014 voluto dallo stesso Renzi per finanziare “il meccanismo di aiuto alla crescita economica (ACE)“. Già allora, infatti, era stata stabilito l’aumento delle tasse sui carburanti e sul gasolio a partire dal 2019 e fino ai nostri giorni. Cosa che, effettivamente, sta accadendo.
Il DL del 2014 prevede, infatti, “un aumento, a decorrere dal primo gennaio 2019 dell’aliquota di accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché del gasolio usato come carburante, da adottare con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli entro il 30 novembre 2018“.
Ma come mai, nel frattempo, nessuno è intervenuto in merito? Il tema delle accise, ciclicamente promosso ora dalla destra ora dalla sinistra, non è caduto così facilmente nel dimenticatoio. Già a partire dalla campagna elettorale del 2018, Matteo Salvini aveva assicurato che nel primo Consiglio dei Ministri avrebbe tagliato le accise.
Ancora, Salvini continuò la sua immaginifica battaglia tentando ora di attaccare ora di giustificarsi: ovviamente, anche questa volta, si è concluso tutto in un nulla di fatto. Ma perché la situazione sulle accise, in Italia, non può (ancora) essere modificata?
Cosa influisce sulle accise
Adesso, è importante avere una nozione semplicistica e basilare di cosa sia un’accisa: si tratta di un’imposta indiretta “sulla produzione o sul consumo dei prodotti energetici, dell’alcole etilico e delle bevande alcoliche, dell’energia elettrica e dei tabacchi lavorati. La vigilanza sulle fasi di lavorazione e movimentazione del prodotto, volta a reprimere i comportamenti illeciti e le condotte evasive, perpetrate con l’obiettivo di sottrarsi al pagamento dell’imposta, è affidata all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e alla Guardia di Finanza“.
Diversamente dall’Iva, che incide sul valore del bene in quanto tale, le accise si basano sulla quantità dei beni prodotti. Ma perché, ancora oggi, si pagano e cosa, in realtà, influisce sui costi?
La risposta è fornita dal Governo Conte I nell’interrogazione posta da Forza Italia al Ministero dell’Economia e delle Finanze nel 2019, dove viene spiegato che, nonostante “eventuali riduzioni delle aliquote di accisa sui carburanti” potrebbero essere in linea teorica “fattibili dal punto di vista tecnico“, influiscono almeno tre fattori che gravano pesantemente sulle accise.
In primis, si legge sempre nell’interrogazione, l’Unione Europea impone un’aliquota minima (si pensi alla multa di quest’anno all’Italia per non aver caricato le accise sul carburante per veicoli acquatici, barche e mezzi da diporto) proporzionale in tutti i Paesi dell’Unione. Parliamo della disciplina contenuta nel Testo Unico dell’UE che si rifà principalmente al decreto legislativo del 1995: motivo per il quale, in realtà, non si pagano le “singole” accise come la guerra in Etiopia o il disastro del Vajont.
Pertanto, come spiega ottimamente Pagella Italiana, non solo dal 1995 le accise sul carburante e sui beni si rifanno al regolamento europeo e il gettito fiscale che ne consegue finanzia il bilancio statale nel suo complesso. Ma “oggi c’è una sola aliquota, che non distingue tra le diverse componenti”. Tutto il resto, insomma, è fuffa: è sicuramente “improprio dire che si elimineranno imposte che non esistono più dal punto di vista legislativo da oltre vent’anni ed è falso sostenere che esista un’imposta cancellata oltre ottant’anni fa”.
Ancora, sempre nella risposta all’interrogazione, il MEF chiarisce che se ipoteticamente si cancellassero le accise “deriverebbero ingenti minori entrate per l’erario, proporzionali direttamente all’entità delle riduzioni praticate e che potrebbero essere quantificate soltanto in sede di elaborazione di una puntuale proposta normativa”. In altre parole, o lo Stato trova un ulteriore modalità di “finanziare” il gettito fiscale, oppure il taglio sulle accise è un discorso fine a se stesso da spot elettorale.
Terzo, come anticipato nel paragrafo precedente, il DL firmato da Renzi e dal suo Governo ha imposto l’incremento delle accise a partire dal 2019 “in misura tale da determinare maggiori entrate nette non inferiori a 140,7 milioni di euro nel 2019, 164,4 milioni di euro nel 2020 e 148,3 milioni di euro a decorrere dal 2021″. Ed è esattamente quello che sta accadendo adesso.