Il termine del momento, almeno su LinkedIn, è shrinkflation. Nota anche come “package downsizing” (letteralmente “riduzione del pacchetto“) la shrinkflation è quella pratica che si potrebbe riassumere in: “Aumenta il prezzo del prodotto, ma il consumatore non ne ha contezza perché nella confezione venduta al dettaglio ce n’è di meno“. Una estrema sintesi di un concetto più ampio e sfaccettato che possiamo provare a restituire con un esempio: un giorno andiamo al supermercato e compriamo un pacco di pasta prodotto da X da 500 grammi pagando un euro; torniamo un mese dopo e prendiamo lo stesso pacco di pasta dello stesso X, magari anche di stessa forma e colore e dallo stesso scaffale, pagando lo stesso euro, ma in realtà nel pacco i grammi sono diventati 470.
Il termine shrinkflation è tornato prepotentemente di moda e nei trend in quanto associato a quanto sta accadendo a più ampio raggio su un mercato diviso tra aumenti dei costi energetici e delle materie prime e problemi di natura geopolitica. Ma chi è sul mercato da un bel po’ non scopre certo oggi questa parola. Come Mauro Baricca, imprenditore e a sua volta consulente di imprenditori, coach e formatore di lungo corso con una vita spesa nel marketing e nelle vendite, fondatore e ideatore della Palestra d’Impresa in cui è anche fiero allenatore.
Mauro Baricca, si parla di shrinkflation come di un fenomeno quasi nuovo, figlio di questi tempi di mercato. È davvero la prima volta in cui ci imbattiamo in questo modus operandi?
“In realtà la shrinkflation è il metodo per fare più profitti a scapito delle dimensioni o delle quantità ed è vecchio come il mondo: la più famosa Cola da 2 litri che ora è da 1,75, ma anche il buco del tubetto dentifricio che ora è 2 volte più grande rispetto al passato così finisce prima, o ancora l’iconico gelato preconfezionato che diventa più piccolo e tante altre situazioni simili in cui il prezzo rimane uguale ma la quantità minore. A mio parere, quello che vedo in questa situazione che stiamo vivendo non è shrinkflation ma speculazione e anche questa esiste da quando esiste il mondo. Non ne sono stupito”.
Nella sua Palestra d’impresa e nei seminari che da decenni tiene in giro per l’Italia spesso parla di fiducia nel brand e di rispetto verso l’utente finale. La shrinkflation come pratica come si posiziona e quali sono i rischi nell’applicarla?
“Truffare i clienti non è mai bello, anche perchè se ne accorgono. Certamente, se sei una multinazionale e il tuo mercato è il mercato di massa è una questione di statistiche e di grandi numeri e ci sta che non ne subisci un grande impatto, così come da leader assoluto di mercato con un prodotto unico che le persone continueranno ad acquistare da te. Diverso è se sei, come la maggior parte delle imprese italiane, una PMI: il potere del brand, non tanto come notorietà ma come affidabilità, serietà e correttezza è tutto per noi piccoli e sono convinto che, alla lunga, essere corretti e onesti con il proprio pubblico paga“.
Porto sempre nel cuore la sua frase: “Se vendi ghiaccio a un eschimese non sei un buon venditore ma un truffatore”. In questo momento storico così difficile, di inflazione che spaventa e mercati complessi, quanto le aziende devono essere in generale accorte alla corretta informazione nei confronti del cliente?
“Siamo in un momento complicato dove tutti gli aumenti indiscriminati e spesso non giustificati non possono essere solo sulle spalle delle aziende. È vero che aumenta la benzina e con 100 euro fai il 10 o 20 percento di spesa in meno rispetto all’anno scorso ma, obbligati a spendere comunque per questi beni di prima necessità, certi altri beni si rinuncia invece ad acquistarli. Tantissime imprese si trovano ad avere assorbito tutti i costi degli aumenti senza avere la forza o la possibilità di ribaltarli almeno in parte sull’utenza, anche se dovrebbero farlo. Ecco, le aziende che nel tempo, hanno creato relazioni di valore e di fiducia e non si sono scannate sulla guerra del prezzo ora hanno delle opportunità in più di poter far recepire al proprio mercato alcuni cambiamenti; diversamente, mettersi ora a comunicare per cercare di recuperare posizioni è un qualcosa di molto complicato”.
Da osservatore esterno, ritiene in questo momento che le aziende italiane stiano facendo bene o male per arginare la crisi?
“Io non sono un osservatore esterno. Guido una piccola azienda e ho, come tutti i miei clienti, degli stipendi da pagare, delle scadenze da rispettare e un socio di maggioranza, comune a tutte le aziende italiane, da remunerare (lo Stato italiano, ndr). Penso che ci siano tante aziende che stanno applicando la vera essenza della parola resilienza, una parola abusata e usata per le cose più inutili ma che ora serve davvero. Le aziende ben gestite e che sono state in grado di essere liquide in questi ultimi anni sono le aziende che hanno prospettive, che ora magari arrancano un po’ ma hanno le riserve per poter far fronte e continuano a investire, soprattutto sulla formazione del personale e sulle tecnologie. Per le altre, quelle in cui l’imprenditore in realtà era solo l’operaio di sé stesso e non ha avuto la forza, la voglia o il tempo di addestrarsi a fare impresa la vedo dura: ci sarà una moria di aziende e questo non farà bene alla nostra economia, in generale. Lo so che è un discorso brutale, ma è realista: è inutile dire ‘andrà tutto bene’ perchè semplicemente non è così. Essere realista però non significa essere pessimista: questo scenario creerà tante opportunità e spazi per chi, in passato, e in questi ultimi due anni, non ha aspettato ma si è mosso per cambiare lo status quo“.