L’intero sistema industriale è a rischio: l’allarme di Assofond per l’economia

"Le contromisure prese fino a questo momento sono state tutte concentrate sul favorire la ripresa dei consumi, ma senza interventi davvero strutturali. Bisogna ora incentivare la produzione, e tornare a essere non solo Paesi consumatori ma anche produttori".

Il mondo sta vivendo un vero e proprio cambio di paradigma: ignorarlo significherebbe mettere a rischio l’intero sistema industriale europeo e ritrovarsi, nel giro di pochi anni, in una condizione di insignificanza nel contesto globale. E’ questa l’analisi che emerge dal convegno ‘Energia e materie prime: quali prospettive per le fonderie?’, organizzato da Assofond, l’associazione di Confindustria che rappresenta le fonderie italiane.

Il sistema industriale è a rischio: ecco perché

“Se pensiamo a quanto accaduto negli ultimi mesi – ha sottolineato il presidente di Assofond, Fabio Zanardi – è chiaro che stiamo vivendo qualcosa di completamente nuovo. Chi ricorda un periodo denso di lavoro come quello appena trascorso ma che ci vede, paradossalmente, in grande difficoltà dal punto di vista della marginalità? Gli aumenti dei costi dei fattori produttivi ci costringono a rivedere i nostri listini quasi settimanalmente: per quanto potremo andare avanti prima di assistere a un crollo della domanda? Per quanto potremo restare competitivi nei confronti dei nostri concorrenti europei se non viene posto un freno alla crescita dei prezzi di materie prime ed energia?”.

“Il settore delle fonderie – ha spiegato – rappresenta uno snodo cruciale nell’ambito dell’industria e un comparto strategico per tutto il Made in Italy manifatturiero. E c’è di più: siamo indispensabili per il percorso di transizione ecologica avviato dall’Europa. Abbiamo bisogno di essere messi nelle condizioni di competere ad armi pari con i nostri competitor, altrimenti qui chiudiamo tutti bottega“. Il settore delle fonderie, dopo l’anno della pandemia, ha fatto segnare una buona ripresa: nel 2021 la produzione complessiva si è avvicinata a quota 2 milioni di tonnellate di getti, di cui circa 1,1 milioni ferrosi (+18,6% rispetto al 2020) e quasi 900.000 non ferrosi (+33,6% rispetto al 2020).

Il forte recupero dei volumi produttivi è stato evidente soprattutto per le fonderie di metalli non ferrosi, che non solo hanno riguadagnato i livelli pre-pandemia ma si sono allineate ai dati di produzione del 2018 (ultimo anno davvero positivo per il settore), facendo così segnare uno dei risultati migliori dell’ultimo decennio. Particolarmente significativa la forte crescita dei getti di alluminio: la produzione si è collocata oltre le 727.000 tonnellate, dato che consente al comparto di riconquistare la leadership europea superando la Germania (ferma a 701.000 tonnellate).

Meno brillante, ma comunque positiva, la performance delle fonderie di metalli ferrosi (+18,6% sul 2020), che hanno avvicinato, ma non eguagliato, i livelli produttivi del 2019. La ripresa generale è data dal buon andamento delle fonderie di ghisa (+20%) e di microfusione (+14,3%), mentre le fonderie di acciaio – reduci da un 2020 inaspettatamente positivo – hanno registrato una perdita del -2,1%. Nonostante i dati relativi alla produzione non siano quindi negativi, il vero punto dolente riguarda l’impatto che i maggiori costi energetici e, in generale, tutte le materie prime hanno avuto sul settore, cosa che ha portato a una pesante erosione dei margini aziendali. Pochi numeri sono sufficienti a inquadrare il fenomeno.

L’aumento delle materie prime

Il prezzo spot dell’energia elettrica sul mercato nazionale è passato dai circa 60 euro/MWh di gennaio 2021 agli oltre 308 di marzo 2022, quando molte imprese energivore hanno fermato temporaneamente la produzione per l’impossibilità di sostenere costi così elevati. Il 21 giugno 2022 il pun (prezzo unico nazionale dell’energia elettrica) ha fatto segnare un nuovo record, toccando quota 342,52 euro/MWh.

Il gas, che a gennaio 2021 era quotato al TTF circa 20 euro/MWh, ha superato a marzo 2022 i 125 euro/MWh, per poi ritracciare parzialmente nei mesi successivi. Tuttavia, le vicende dell’ultima settimana, con le riduzioni di forniture provenienti dalla Russia, hanno riportato il prezzo su valori non distanti da quelli fatti segnare proprio a marzo (116,95 euro/MWh il 17 giugno) con proiezioni al rialzo per i prossimi mesi.

Anche il rally delle materie prime non è stato da meno: nei primi sei mesi del 2022 la quotazione media dei rottami e delle ghise in pani (utilizzati dalle fonderie di metalli ferrosi) è stata rispettivamente dell’88% e del 128% superiore alla media del 2020. Non dissimile la situazione delle ferroleghe e delle materie prime ausiliarie, così come quella dei metalli non ferrosi: la media dei prezzi all’Lme dell’alluminio primario e di quello secondario è stata, nel 2022, superiore rispettivamente del 102% e dell’88% rispetto al 2020, con un picco, raggiunto a marzo 2022, di 4.000 euro/t per l’alluminio primario e di 3.700 euro/t per quello secondario.

“Il momento che stiamo vivendo – ha sottolineato Andrea Beretta Zanoni, docente di Economia aziendale all’Università degli Studi di Verona – potrebbe portare, in un orizzonte di tempo abbastanza breve, uno sconvolgimento all’ordine mondiale che ha contraddistinto il mondo post-1989, caratterizzato da una situazione di iper-globalizzazione ed economia aperta che garantivano stabilità politica e, con essa, crescita economica. Le spinte autarchiche e nazionalistiche che sono riemerse dopo la crisi del 2008 hanno rotto il circolo virtuoso. Il rischio, oggi, è che guerre commerciali e sanzioni economiche diventino un tratto permanente nelle relazioni globali, nell’ambito di un mondo che potrebbe in qualche modo tornare a essere bipolare”.

“Il mercato delle commodity energetiche – ha evidenziato Massimo Beccarello, docente di Economia industriale all’Università Milano-Bicocca – sta subendo degli sconvolgimenti di lungo periodo: è ragionevole pensare che i prezzi resteranno molto elevati non solo nel 2023, ma anche almeno per tutto il 2024. Quanto sta succedendo negli ultimi giorni, con le criticità legate alla disponibilità di gas con il taglio di forniture dalla Russia, rischia di impattare anche sull’energia elettrica, soprattutto in Italia dove sappiamo c’è una forte interdipendenza. È chiaro, a questo punto, che è necessario rivedere profondamente questo mercato che, ricordiamolo, sconta a livello di prezzo un differenziale importante con Francia e, soprattutto, Germania, dove in questi mesi sono stati fatti interventi più incisivi capaci di alleggerire la pressione su consumatori e imprese”.

“Il cambio di paradigma – ha detto Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T -Commodity ed esperto di mercati delle materie prime – che sta caratterizzando le relazioni internazionali è evidente e non si può ignorare . Ci avviamo verso un mondo nuovamente diviso in blocchi, che vede da un lato il mondo occidentale trasformatore e consumatore di materie prime, dall’altro quello dei Paesi produttori di materie prime e di energia, come Russia e Cina”.

“Prima – ha aggiunto – ce ne rendiamo conto, e prima possiamo mettere in atto le nostre contromisure. Ci sarà probabilmente un maggiore protezionismo da parte dei principali produttori di materie prime, e questo ci impone di cambiare la nostra visione. Le contromisure prese fino a questo momento sono state tutte concentrate sul favorire la ripresa dei consumi, ma senza interventi davvero strutturali. Bisogna ora incentivare la produzione, e tornare a essere non solo Paesi consumatori ma anche produttori”.

“Anche la transizione green – ha chiarito – pensata in un momento di ultraliberismo e di forte interconnessione fra Europa e Cina, va completamente ripensata: se l’Europa si mette in mano alla Cina garantendole il monopolio della mobilità, firma la sua condanna a morte. La sicurezza nazionale (e quella comunitaria) prevede dinamiche diverse da quelle che potevano andare bene qualche anno fa”.

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