Il mercato dell’automotive tra tagli della forza lavoro, crollo delle vendite e aumento dei profitti
Le aziende automobilistiche stanno aumentando i ricavi e i margini di guadagno e tagliano la forza lavoro, reagendo alla crisi con un vecchio rimedio che però mostra i limiti di un mercato che vede il lavoro come un costo e i profitti come unico obiettivo.
Il caso di Stellantis insegna. Ma facciamo un passo indietro: comprare un’automobile nuova è un’operazione che ha dell’impossibile. I prezzi sono aumentati, la produzione si è quasi fermata a causa dei problemi nella filiera di approvvigionamento della componentistica che ha fatto rallentare o bloccare completamente le forniture in particolare dei semiconduttori. E i concessionari hanno tempi di consegna che spesso superano anche l’anno.
Le case automobilistiche aumentano i ricavi
Il blocco dell’intera catena di produzione ha fatto diminuire l’offerta delle case automobilistiche che spesso hanno bloccato le fabbriche e lavorano sulle ordinazioni. Questa flessione dell’offerta ha fatto aumentare i prezzi mentre la domanda, che in questi mesi non è stata ancora intaccata dal processo inflativo globale, è rimasta invariata. Le vecchie regole del mercato sono sempre quelle e se ci sono meno pezzi da vendere e i compratori restano gli stessi aumentano i ricavi per chi vede e infatti i profitti delle case automobilistiche sono cresciuti proprio in questi anni di pandemia e di crisi.
Il caso Stellantis
La Stellantis è un esempio chiaro di quello che sta accadendo al mercato automobilistico. La casa automobilistica, nata un ano e mezzo fa dalla fusione di Fra e Usa Peugeot, ha chiuso il primo semestre 2022 con un picco degli utili, pur facendo registrare un netto calo delle vendite di automobili del 7%. I ricavi sono arrivati a 88 miliardi, in crescita del 17% rispetto allo steso periodo dell’anno precedente, con un profitto netto di quasi 8 miliardi.
Dietro il successo economico
Alla base dei risultati economici della Stellantis non vi sono però solo fattori esterni dettati dalle dinamiche del mercato globale scombussolato da pandemia, blocchi di produzione e filiere fragili ma anche, e soprattutto, alcune scelte aziendali che hanno dato un impulso positivo al bilancio.
La vecchia Fiat ha infatti operato un profondo taglio dei costi dichiarando un risparmio netto di 3,1 miliardi di euro. Una cifra estremamente significativa se si pensa che è stata raggiunta nonostante l’aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia.
L’azienda ha compensato questi costi con un taglio deciso della forza lavoro, un’operazione della quale non si conoscono ancora i numeri nel dettaglio per questo semestre ma che già l’anno scorso aveva portato a circa 10 mila unità lavorative in meno, ben 4 mila sono state tagliate in Italia. Quello che si riesce a leggere nel bilancio di Stellantis è che nel primo semestre 2022 sono stati spesi 619 milioni di euro per la riduzione della forza lavoro in Europa e in nelle Americhe, si tratta di dimissioni incentivate e prepensionamenti, che in italia ha portato ad una riduzione del 3,7% dell’organico aziendale.
Si taglia il lavoro ma aumentano i margini di profitto
Nonostante la riduzione della forza lavoro e le difficolta di produzione Stellantis ha aumentato i margini di profitto sulle vendite di automobili sia negli Stati Uniti che in Europa, superando le altre case automobilistiche concorrenti e sfiorando i livelli di quelle di alta gamma.
L’amministratore delegato Carlos Tavares ha assicurato che il portafoglio ordini ha già superato di tre volte quello del periodo pre-Covid e che, se anche la crisi economica globale alle porte dovesse dimezzare le vendite, il gruppo Stellantis riuscirebbe comunque a guadagnare.
Il buco di Fca Italy
Nonostante il gruppo goda a livello economico e finanziario di ottima salute, i conti della Fca Italy, la controllata italiana di Stellantis, sono in rosso da anni. Nel bilancio 2021, consegnato il mese scorso, Fca Italy ha registrato una perdita di 1,53 miliardi di euro, che pur essendo minore rispetto ai 2,44 miliardi del 2020, è comunque un buco enorme difficile da colmare.
La riduzione è stata sostenuta da un taglio di spese, di forza lavoro e di investimenti. Le spese per i servizi, come ad esempio la pubblicità, sono state tagliate del 10% con un risparmio di 200 milioni. Anche gli investimenti sono calati del 30%, nonostante la Stellantis abbia deciso che fosse proprio la sua controllata italiana ad investire 75 milioni di dollari per il 2,72% della start up americana Archer Aviation, che si occupa di sperimentare veivoli a volo verticale.
Dunque a conti fatti le aziende automobilistiche stanno aumentando i ricavi e i margini di guadagno e tagliano la forza lavoro, reagendo alla crisi con un vecchio rimedio che però mostra i limiti di un mercato che vede il lavoro come un costo e i profitti come unico obiettivo.
Come in ogni crisi c’è chi perde e chi vince e nell’automotive a perdere sono i fornitori, gli anelli più deboli della catena produttiva dell’intero settore, i lavoratori che si vedono costretti alle dimissioni incentivate o al licenziamento e i consumatori, tutti coloro che devono comprare un’automobile e che non riescono ad avere un prodotto in tempi congrui e a prezzi giusti.
Davanti ai dati della Stellantis ma anche delle altre grandi compagnie dell’auto, i governi dovrebbero ragionare con attenzione per capire dove bisogna davvero correggere le storture di un mercato che ci mostra come una compagnia che vende auto possa aumentare guadagni e ricavi riducendo le vendite e l’occupazione.