Siamo sotto la morsa del caldo torrido. L’Italia, come previsto fin da marzo, per gli effetti dovuti al fenomeno de “El Niño”, sta sperimentando, da giorni, temperature fino a 45 gradi con sette centri urbani, in allerta massima, rientrati nel bollettino del ministero della Salute che monitora le ondate di calore.
Un cane che si morde la coda: più caldo significa più aria condizionata e, quindi, più emissioni.
All’aumentare del caldo cresce, inevitabilmente, la domanda di climatizzazione negli edifici per resistere all’effetto di surriscaldamento interno delle abitazioni. Se fuori, infatti, la temperatura è insopportabile, non va meglio nelle nostre case che, per le qualità dei materiali edilizi, attraggono e trattengono il calore dei raggi solari che poi rilasciano lentamente durante la notte, peggiorando il microclima interno delle abitazioni, la qualità dell’aria indoor, con effetti diretti persino sull’aumento delle temperature esterne.
Il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, con uno studio che analizza l’impatto del cambiamento climatico sulla domanda europea di condizionatori e di elettricità, ha rilasciato le prime stime rimbalzate sulla rivista Scientific Reports. Solo in Italia, da qui al 2050, a causa di estati sempre più bollenti e prolungate, è previsto un aumento della domanda da raffrescamento pari al 16% rispetto ai dati attuali, con un boom di emissioni di gas climalteranti che potrebbe peggiorare – ulteriormente – non solo la situazione dei cambiamenti climatici (compromettendo seriamente l’impegno di riduzione della CO2) ma anche la condizione di alcune famiglie, nella misura in cui il condizionatore diventa un dispositivo fondamentale ma sempre più caro, fallendo miseramente due degli obiettivi previsti dall’Agenda 2030: il caro energia – per il contrasto alla povertà energetica – e, insieme, la riduzione delle emissioni.
Come ne usciamo?
Un’emergenza che mette a nudo tutta l’obsolescenza delle nostre costruzioni non adatte a rispondere ai nuovi regimi climatici e (cosa più grave) gli errori commessi nei più recenti retrofit effettuati con il Superbonus 110%. La domanda che dovremmo infatti porci è: come mai, nonostante le promesse di isolamento termico che rispondono, per lo più, al nome di “cappotto” i nostri edifici, in questo periodo, non stanno performando?. «La risposta è nei materiali!»: a spiegarlo a F-Mag è Yari Cecere, Sustainable Real Estate Developer, che ha affrontato la questione della connessione tra edifici e isole di calore urbane in uno speech durante l’ultimo TEDx sull’isola di Ischia.
«Se il Superbonus voleva essere uno strumento per puntare alla sostenibilità degli edifici, per coerenza, avrebbe dovuto e dovrebbe favorire e finanziare interventi che impiegano solo materiali ecologici e naturalmente in grado di soddisfare standard di sostenibilità energetica durante tutto l’anno. Invece, l’errore più comune è stato quello di ragionare – il più delle volte – solo in funzione di un guadagno termico invernale con cappotti in poliestere espanso, provenienti dalla filiera non rinnovabile del petrolio. Da qui un pullulare di soluzioni standard che non tengono conto delle specificità climatiche in cui molti edificati si inseriscono. Non è un caso che queste abitazioni, proprio mentre stiamo chiacchierando, hanno un esasperato bisogno di climatizzazione».
Ma una soluzione c’è
La risposta più adeguata al nostro clima potrebbe arrivare da un materiale antico, a bassa impronta idrica e con una grande capacità di assorbire l’anidride carbonica: la canapa!
«La canapa è un ottimo isolante termico invernale ed estivo» racconta il nostro esperto «dobbiamo tenere conto che la pelle dei nostri edifici, le pareti per intenderci, tendono a surriscaldarsi con queste temperature a causa dell’alta conducibilità termica. Il legno di canapa per la bioediliza – il canapulo -, essendo un materiale a bassa trasmittanza è invece l’ideale per il pacchetto di isolamento per le costruzioni».
Case in canapa: al via la sperimentazione.
In Campania, regione che in questo mese sta toccando temperature al suolo di 47°C, sta per partire così la sperimentazione del primo edificio residenziale ex novo completamente in canapa. Un multipiano che utilizza il bio-mattone in calce e canapa per confrontarsi con il tema delle ondate di calore.
La tecnologia, che risponde ai Criteri Minimi Ambientali (CAM) stabiliti dal Ministero dell’Ambiente, verrà utilizzata per le pareti di tamponamento del building di nome Nunziare (nel render in alto), consentendo alle abitazioni di mantenere d’estate una temperatura media interna di 26°C e d’inverno di 18°C. Il committente dell’edificio è la società casertana Cecere Management guidata dal giovane under 30 Yari Cecere che spiega: «L’innovazione ci permetterà di affrontare più di un problema. Le abitazioni in canapa abbattono l’uso del condizionatore, rispondendo all’esigenza della riduzione del carbonio degli edifici in fase d’uso, in più l’utilizzo di questa pianta per la bioedilizia è una risposta concreta ed efficace al tema meno conosciuto del carbonio incorporato, vale a dire, delle emissioni che provengono dalla produzione dei materiali utilizzati. La canapa è una pianta che, durante la sua crescita, è in grado assorbire 4 volte CO2 più degli alberi, le costruzioni in bio-mattone mantengono così strette nelle pareti l’anidride carbonica responsabile del 63% del riscaldamento globale di origine antropica. Nella fattispecie questo edificio, grazie all’impiego di 600 mc di mattoni dello spessore di 40 cm – una volta completato -, avrà già sequestrato 160 tonnellate di carbonio».
A chiudere il cerchio delle modalità virtuose e replicabili dovute dal materiale lo sfrido derivante dai tagli. Il cantiere – già attivo – rigenererà gli scarti per la coibentazione del tetto e sottotetto, risparmiando materiale, rifiuti e contribuendo all’isolamento anche del tetto con una materiale naturale. «Le strategie di raffrescamento non artificiale per la progettazione di edifici sostenibili e resilienti alle alte temperature, è bene ricordarlo, possono andare anche oltre l’utilizzo di una sola tecnologia. L’integrazione di elementi come tetti e spazi verdi, per esempio, possono contribuire a mitigare la formazione di isole di calore nelle aree urbane. La nostra società si sta muovendo in questa direzione e prova, al contempo, a fare quanta più divulgazione possibile. Ciò che ci auguriamo infatti è che sempre più persone prendano coscienza di questi temi, perché le buone pratiche spesso dipendono proprio dalla domanda del mercato».