Perché possiamo vedere di nuovo i post in ordine cronologico?
Sparito per anni sotto le leggi di algoritmi sempre più penetranti nelle nostre vite, che ci hanno chiuso in vere e proprie bolle profilandoci (e bombardandoci di pubblicità profilate) proponendoci quella che secondo una macchina era in linea con i nostri interessi. Isolandoci sempre di più nelle nostre vetrine digitali, ora il feed in ordine cronologico torna prepotente nelle vite social. Tutti potranno tornare agli albori, dove non c'era un algoritmo vestito da eminenza grigia che continuava a proporti gli stessi post degli stessi profili. Ecco perché in realtà si tratta di una svolta epocale e che dovrebbe renderci fieri di esseri europei.
Su Instagram sarà possibile rimettere in ordine le foto pubblicate dai propri amici dalla prima all’ultima, ma anche reels e storie. Su LinkedIn sotto il proprio spazio di condivisione veloce dei post è possibile aprire un menù contestuale per riordinare i post in ordine cronologico. E così a breve sarà possibile anche per Facebook. E dovrebbe esserlo per tutti, anche per Twitter (ora X) che è stato uno degli ultimi baluardi del feed in ordine cronologico. Sparito per anni sotto le leggi di algoritmi sempre più penetranti nelle nostre vite, che ci hanno chiuso in vere e proprie bolle profilandoci (e bombardandoci di pubblicità profilate) proponendoci quella che secondo una macchina era in linea con i nostri interessi. Isolandoci sempre di più nelle nostre vetrine digitali.
Una visione apocalittica? Mica tanto: era il futuro a cui già stavamo andando incontro e che ora con la piena entrata in vigore del DSA (Digital Services Act) diventa quantomeno una responsabilità dell’utente che in ogni momento può switchare e tornare agli albori. Dove non c’era, insomma, un algoritmo vestito da eminenza grigia che continuava a proporti gli stessi post degli stessi profili perché ritenuti in linea con i tuoi interessi, bensì scoprire ad esempio chi soffre d’insonnia come te con lo smartphone in mano alle tre di notte.
Ma cosa è il DSA?
Nato come proposta legislativa avanzata dalla Commissione Europea per regolare le piattaforme online e i servizi digitali all’interno dell’Unione Europea (UE), il Digital Services Act è legge dal 16 novembre 2022 (l’accordo politico come da prassi comunitaria era stato raggiunto l’aprile precedente). Mira a regolamentare la giungla dei servizi digitali. Il DSA stabilisce regole più chiare per quelle piattaforme online che agiscono come intermediarie, definendo nuovi obblighi relativi alla moderazione dei contenuti illegali e dannosi, alla collaborazione con le autorità per il contrasto dei reati online e, come nel caso in questione, alla trasparenza dell’algoritmo.
Sono quasi una ventina i big del tech chiamati a rispondere a tale chiamata entro lo scorso 25 agosto, perseguendo la filosofia del grande potere da cui derivano grandi responsabilità di marveliana memoria. Meta, quindi, ma anche Microsoft con LinkedIn, TikTok, Google e persino Wikipedia e Amazon che però ha già presentato ricorso. Oltre ad adeguarsi, le piattaforme avrebbero dovuto anche creare sistemi indipendenti di controllo della conformità a quanto richiesto. La pena? Il 6% del fatturato globale.
Inoltre il DSA prevede anche la trasparenza delle inserzioni con la possibilità di accedere alle stesse e capire per quale motivo ci vengono proposte.
Anche le procedure di notifica e rimozione dei contenuti cambiano e chi ha provato a segnalare post sgradevoli sulle piattaforme Meta in queste ore se ne sarà reso conto, con procedure uniformi e trasparenti per la segnalazione dei contenuti illegali o dannosi e per la loro rimozione rapida da parte delle piattaforme.
Le piattaforme chiamate ad adeguarsi spesso hanno trasformato questa occasione in una campagna pubblicitaria a testimoniare la sensibilità del colosso verso temi di (non sempre afferrata del tutto) scottante urgenza e attualità. Di fatto, però, si tratta di un input fondamentale che viene dall’Unione e dalle istituzioni comunitarie particolarmente attente a tali dinamiche.
Perché il DSA è importante e che rischio comporta l’algoritmizzazione dei contenuti proposti?
Bias cognitivi e polarizzazione
Può sembrare ai meno avvezzi un problema di poco conto. Ma in realtà l’algoritmizzazione dei contenuti proposti dai social non è cosa da poco. Abbiamo già parlato delle bolle e della sorta di camera dell’eco che provoca il mondo edulcorato delle nostre bacheche social. Esiste, inoltre, un problema altrettanto comprovato che riguarda polarizzazione (estremizzazione del dibattito e creazione di vere e proprie fazioni) e bias cognitivi.
I social sviluppano due tipi di comportamenti: l’esposizione selettiva è lampante quando ci viene offerto solo ciò che ci interessa e che crediamo vero; l’altro, il bias di conferma che è insito nell’animo umano ed è esacerbato dal funzionamento degli algoritmi social, ci porta a cercare solo informazioni che alimentino la nostra verità e ciò in cui crediamo.
La questione dei contenuti e dell’informazione
Le ripercussioni riguardano anche i produttori di contenuti e chi usa i social per diffondere informazione. Nelle ore in cui anche il Santo Padre Papa Francesco si è schierato apertamente sul tema della disinformazione, impossibile non pensare come spesso le scelte editoriali dei giornali e delle testate giornalistiche vadano incontro non tanto a una buona informazione ma quanto quella che compare sui nostri feed. Strizzando l’occhio ai motori di ricerca o al clickbait. Queste derive dell’informazione sono (anche) frutto di algoritmi premiali di contenuti scritti in un determinato modo o che trattino determinati argomenti. Basta dare un occhio ai vostri smartphone e ai vostri profili social per rendervi conto di cosa vi viene proposto di leggere e comprendere che quasi mai si tratta di contenuti eccelsi, profondi, approfonditi.
Un uso consapevole dei social
Il tutto, inoltre, ricordando il bel documentario The Social Dilemma che ben spiegava come l’interesse delle piattaforme social è quello di tenere il più possibile incollati gli utenti sulle stesse. Più tempo sulla piattaforma vuol dire più inserzioni mostrate e più dati raccolti. Di fatto, vuol dire un maggiore guadagno da parte della piattaforma stessa.
Depressione e ansia
Correlato a quanto sopra, più fonti di ricerca hanno suggerito che l’uso eccessivo dei social network e l’esposizione continua a contenuti negativi o in contrasto possono contribuire a problemi di salute mentale, come la depressione e l’ansia.
Gli algoritmi che mostrano contenuti che suscitano forti reazioni emotive possono accentuare questo effetto.
Privacy
Inoltre, un rischio mai da sottovalutare (benché ogni disclaimer che si rispetti ricorda all’utente che qualcuno in qualche parte del mondo “tiene alla sua privacy”) è che più si è profilati più a rischio è la propria privacy. Questo ben oltre quanto attiene specificatamente alle preferenze di feed, certo. Ma un mondo in cui più ti conosco più ti posso proporre ciò che credo ti interessi è un mondo che naturalmente tende a voler sapere dell’utente il più possibile.
Rischi, questi, che ora sono realmente avvertiti in quanto tali e che dovrebbero suggerire agli utenti, DSA a parte, una maggiore oculatezza nelle loro interazioni online.
E, perché no, di tornare a dare una possibilità a una piattaforma con un algoritmo in meno a scegliere per noi cosa è interessante e cosa no.