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Il fashion sostenibile: le B-Corp italiane modello virtuoso della filiera

Le aziende B Corp di questo settore sono la rappresentazione del saper fare che crea valore partendo dagli impatti positivi per l'ecosistema naturale, l'ambiente, le comunità e le persone che ci lavorano. Queste organizzazioni hanno scelto la strategia dell'innovazione fondendola con la filosofia B Corp

Chi l’ha detto che il fashion non può essere sostenibile? Sono sempre di più le aziende della filiera della moda che decidono di abbracciare un modello virtuoso, volto a generare un impatto positivo, scegliendo di essere Certified B Corp. Ma andiamo con ordine.

In Italia il fashion è… sostenibile

Facciamo un passo indietro. Nel mondo globalizzato, negli ultimi anni si è posta sempre più attenzione al concetto di sostenibilità aziendale, in particolar modo legato all’industria del fashion, sotto i riflettori non solo per le sue collezioni scintillanti, ma anche per il suo impatto devastante sull’ambiente e sulla società. Nonostante i progressi in alcune aree, le aziende del settore fashion sono ancora lontane dall’essere considerate sostenibili, in particolare per gli impatti che ha la produzione tessile sull’ambiente, sul consumo energetico e sulle condizioni di lavoro.

Infatti, la produzione di abbigliamento richiede enormi quantità di risorse naturali, con l’acqua in cima alla lista. Sorprendentemente, la coltivazione del cotone per una semplice t-shirt può richiedere migliaia di litri d’acqua. Inoltre, i processi di tintura e finitura dei tessuti utilizzano sostanze chimiche che spesso finiscono per inquinare corsi d’acqua, mettendo a rischio ecosistemi interi.

Le emissioni di CO2 rappresentano un altro grave problema. Dalla produzione al trasporto e alla distribuzione, ogni fase del ciclo di vita di un capo di abbigliamento contribuisce significativamente all’effetto serra. E poi c’è il problema dei rifiuti: il modello del “fast fashion” spinge i consumatori a comprare e gettare via vestiti a ritmo frenetico, alimentando discariche già sovraccariche.

Oltre all’ambiente, l’industria della moda impatta negativamente anche sulla vita di milioni di lavoratori nei paesi in via di sviluppo. In queste fabbriche, le condizioni di lavoro sono spesso disumane: salari miseri, orari di lavoro estenuanti e ambienti pericolosi. Molti lavoratori non godono di diritti fondamentali, e casi di sfruttamento minorile sono ancora troppo frequenti.

Il ruolo “costoso” del fast fashion

Il fast fashion ha rivoluzionato il modo in cui consumiamo la moda, ma non senza costi. Questo modello di business si basa sulla produzione rapida e a basso costo di abbigliamento di bassa qualità, destinato a durare poco. La conseguenza è un aumento esponenziale dei rifiuti tessili, che sovraccaricano il sistema di smaltimento dei rifiuti e aggravano l’impatto ambientale.

In generale, uno dei problemi più grandi è la mancanza di trasparenza: molte aziende non sono chiare su dove e come vengono prodotti i loro vestiti. Questa opacità rende difficile per i consumatori fare scelte informate e sostenibili.

La mancanza di standard globali uniformi e certificazioni complicano ulteriormente la valutazione della sostenibilità delle aziende di moda. Ma nonostante questo quadro cupo, ci sono alcuni segnali positivi: sempre più aziende stanno adottando pratiche di produzione più ecologiche e trasparenti, promuovendo un consumo più consapevole.

Il fashion sostenibile è possibile?

Secondo i più recenti dati di B Lab Italia, l’organizzazione no-profit che coordina il movimento delle B Corp in Italia, sono oggi 18 le aziende del settore fashion, operanti nel nostro Paese, che si sono certificate B Corp: ACBC, Artknit, Back Label, Brekka, Dynamo The Good Company, Endelea, Linificio e Canapificio, Maison Cashmere, Miomojo, North Sails, OUT OF, Panchic, Peninsula swimwear, Rifò, Save the Duck, Seay, Successori REDA, Tintoria Jacchetti.

Se si guarda alle dimensioni aziendali, l’89% di queste B Corp è rappresentato da PMI: il 72% ha meno di 50 dipendenti, mentre il 17% occupa tra i 50 e 250 lavoratori. Solo 3 B Corp, pari alll’11% del totale, superano i 250 dipendenti. In totale, queste aziende impiegano oltre 1.800 persone.

A livello regionale, l’83% delle B Corp del settore del fashion sono concentrate nel Nord Italia, mentre il restante 17% si trova nel Centro Italia. In particolare, la Lombardia si conferma la Regione con il maggior numero di B Corp certificate, con un totale di 9 imprese, seguita dal Piemonte, con 3 imprese certificate, e da Toscana e Veneto, in cui si contano rispettivamente 2 imprese.

Le B Corp nel settore della moda si distinguono non solo per la loro eccellenza produttiva, ma in particolar modo per l’impegno verso la sostenibilità e la responsabilità sociale: esse trovano nell’ambiente la vera innovazione tecnologica da cui partire per promuovere un reale cambiamento positivo nella filiera.

L’80% di queste si distingue per l’impegno nei confronti della tutela dell’ambiente, con particolare attenzione alla conservazione della fauna selvatica e del suolo e la riduzione di inquinanti e tossine ambientali. In particolar modo, tra queste aziende, tutte adottano processi di produzione e generazione di servizi finalizzati a ridurre l’utilizzo di risorse naturali e limitare gli scarti destinati alle discariche, ad esempio attraverso l’adozione di materiali riciclati e applicazioni energeticamente efficienti. Il restante 20% si distingue per il proprio impegno a livello sociale, volto a generare impatti positivi sulla catena di fornitura, spesso integrando nel modello produttivo le comunità delle località in cui operano.

Il modello delle B Corp sostenibili

Diversi sono i modelli di business virtuosi e sostenibili promossi dalle aziende B Corp del settore fashion: dalla realizzazione etica delle collezioni finalizzata alla valorizzazione di talenti e imprenditori per la promozione dell’artigianato locale, alla creazione di percorsi sostenibili di indipendenza economica per rifugiati, donne e le loro famiglie, fino alla realizzazione di capi di alta qualità interamente realizzati in fibre naturali, cruelty-free, riciclate o di scarto.

“La filiera della moda è l’eccellenza italiana che ha radici profonde nel nostro sapere artigianale. Le aziende B Corp di questo settore sono la rappresentazione del saper fare che crea valore partendo dagli impatti positivi per l’ecosistema naturale, l’ambiente, le comunità e le persone che ci lavorano. Queste organizzazioni hanno scelto la strategia dell’innovazione fondendola con la filosofia B Corp. Come B Lab Italia celebriamo e supportiamo questi percorsi imprenditoriali più sensibili alle tematiche rigenerative, una caratteristica tipica del nostro Paese” ha commentato Anna Puccio, Managing Director di B Lab Italia.

L’Italia continua a rappresentare un Paese particolarmente virtuoso in termini di innovazione verso la sostenibilità e sempre più aziende si stanno impegnando in un percorso di trasformazione per diventare B Corp. Un continuo impegno e una crescita che non si arresta: a giugno 2024, infatti, il movimento italiano delle B Corp è arrivato a contare 292 B Corp che occupano oltre 25.000 persone in 74 industrie diverse, generando un fatturato che supera i 14 miliardi di euro. La moda sostenibile non è solo una tendenza, è una necessità per il futuro del nostro pianeta e delle persone che lo abitano.

Romolo Napolitano

Giornalista professionista dal 2011 è stato, non ancora trentenne, caporedattore dell’agenzia di informazione videogiornalistica Sicomunicazione. Ha lavorato 3 anni negli Stati Uniti in MSC. Al suo ritorno in Italia si è occupato principalmente di uffici stampa e comunicazione d'impresa. Attualmente è giornalista, copywriter e videomaker freelance. Si occupa, tra le altre cose, di tecnologie, nautica e sociale.

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