Claudio Ferrante (A1): “La musica oggi è hype, l’imprenditore deve essere uno stratega”
Claudio Ferrante è alla guida di Artist First e segue artisti come Gabbani, Vibrazioni, Gazzelle, Dardust: "La musica oggi è un contesto disintermediato: i successi degli streaming o dei primi in classifica sono basati esclusivamente sull'attesa".
L’italiano storce il naso di fronte ai nuovi fenomeni musicali, che intanto macinano views e like ancor prima che note. La musica è partecipazione per sua natura, quindi nell’epoca della condivisione il concetto viene stirato, esasperato. Alle fronde di groupie vengono sostituite le community e le date dei live e quelle del “fuori ovunque” sui canali digitali sono attese allo stesso modo. Insomma, la musica che ci piaccia o no è cambiata, almeno nella sua fruizione, e si è innovata.
Tutti spunti che affrontiamo con “l’imprenditore del prodotto musicale” Claudio Ferrante, alla guida di Artist First (A1 Entertainment S.p.a.), tra le più energiche e vivaci società di distribuzione discografica e etichetta discografica del panorama nazionale.
Potremmo definirla un imprenditore del prodotto musicale. Ma come nasce la sua carriera e come si è evoluta nel corso degli ultimi vent’anni?
“In realtà questa è una passione lontana, una passione che avevo fin da bambino. Ho avuto la grande fortuna di avere le idee chiare fin da subito: mi piaceva tantissimo la musica, il mondo discografico, mi abbonai a quel servizio per corrispondenza che si chiamava DJ Mix che a Napoli gestiva Sasà Capobianco. Grazie a quell’invio di quei dischi che veniva inviati a questo club di DJ – io all’epoca avevo quattordici, quindici anni – ho scoperto questa passione facendo il DJ. Ero stregato dalle dinamiche di quel mondo! Sono poi andato nel Regno Unito, ma ho deciso di tornare in Italia finché nel 1998 venni contattato dalla Carosello, ci sono rimasto per quasi 12 anni e nell’ottobre 2009 ho fondato Artist First… il resto è storia. Ho iniziato come appassionato di musica, per poi diventare executive discografico di un’azienda importante come la Carosello, poi sono passato all’essere imprenditore”.
Come si è evoluto il panorama della musica nell’arco della sua carriera?
“Si è rivoluzionato negli anni in cui sono stato addetto ai lavori e lo vedo anche quotidianamente quanto questo cambi di giorno in giorno, sia nell’attitudine che nell’approccio del pubblico e degli artisti. Da quello che c’era prima, con i “pezzi” di plastica che suonavano all’utilizzare lo streaming e ad avere fan digitali è stata una vera e propria rivoluzione: Artist First si è mossa come realtà a 360 gradi, non solo discografica ma attiva nel mondo della musica in modo trasversale e innovativo, dal merchandising, del booking, del management e quindi anche nel mondo del live”.
È allora più corretto definirvi come società di distribuzione o come etichetta discografica vera e propria?
“Siamo entrambe le cose, siamo una società di distribuzione così come una etichetta discografica, una società che declina in vario modo l’offerta di servizi musicali e quest’avventura imprenditoriale – iniziata con Alessandro Fabozzi – investiamo in progetti, negli artisti, nelle nuove risorse che possano rappresentare gli artisti di domani ma non quelli che possano durare un mese o un anno, puntiamo su chi ci sarà in futuro”
Come si lancia oggi allora un artista sul mercato se il mondo della musica si è trasformato da fisico a digitale?
“Innanzitutto questo è un contesto disintermediato: i successi degli streaming o dei primi in classifica sono basati esclusivamente sull’attesa, sull’attendere un’uscita. Oggi si vive di hype e il compito dell’imprenditore è quello di saper offrire una strategia oltre che offrire una diversità culturale, favorendo artisti come Fulminacci, Gazzelle o Alfa che non sarebbero nati da una multinazionale, o artisti come Dardust che non sarebbero venuti fuori senza un occhio indipendente. Diciamo che tutto quello che è il lavoro imprenditoriale è basato sì sull’incontrare l’innovazione su come lanciare un talento ma oggi con i talenti si crea un percorso fatto di occasioni. L’imprenditore deve spendersi per l’artista, è questo l’unico modo per poterlo lanciare, poter dire “credo nell’artista, nella sua empatia, nella sua capacità di comunicare”. E il processo è tutto esclusivamente legato ad un’intuizione: lanciare è un iter fatto magari di uffici stampa, interviste, radio, social… ma l’attitudine è spendersi, spendersi e crederci”.
A proposito di inutizione… cosa ne pensa dei giovani talenti che vengono fuori dai programmi televisivi?
“Credo che lo show più completo sia Amici e ci abbia regalato nel corso degli anni un panorama di artisti da Elodie a Irama a Strangis… Amici ha un ruolo ed è quello di intrattenere con uno show che anno dopo anno rinnova gli artisti e li premia. Ma la passione di Maria De Filippi è tangibile in tutti gli artisti che entrano in classifica e che rappresentano una scelta delle generazioni che li seguono e hanno deciso di stremmare tanto Elodie che è la donna italiana più stremmata o Irama, artista fatto e finito di grande successo. A parte questo, c’è X Factor che è un grande show che ha l’unico limite di non essere in una TV generalista, quindi non accessibile a tutti; se dovessi dire qual è il talent show che premia di più la musica per me è Amici, quello che premia lo spettacolo è Amici con X Factor, però trovamelo un talent come Amici che sforna talenti che restano, penso ad esempio ad Emma, Alessandra Amoroso, Annalisa… ce ne sono veramente tanti”.
Può raccontarci di un’intuizione che ha avuto e che magari altri non ci avrebbero mai scommesso ma che poi si è rivelata essere un grande successo?
“Le nostre scelte sono tutte frutto di un’intuizione: qui non passa automaticamente nessuno, per noi è un’opportunità trovare un artista che ci colpisce e su cui scegliamo di investire. È questa la differenza sostanziale che c’è tra noi e una multinazionale: lavorano bene, hanno tanti prodotti, ma il valore che però ha ogni nostra scelta è imparagonabile, perché non pensiamo ad un prodotto ma ad un percorso, ad una scommessa, a come trarre il meglio da ogni artista. Noi ci investiamo in prima persona: abbiamo nella nostra rosa Dardust, Le Vibrazioni, Gazelle, Alfa, Fulminacci, Gabbani e molto presto qualche altra sorpresa… non anticipo ancora, ma tutte le nostre scelte sono state chirurgiche, su artisti che hanno detto la loro, in un modo o nell’altro. L’intuizione non è solo con gli artisti, ma con l’intera filiera: penso a Maciste Dischi che non era ancora nata e di cui sono molto orgoglioso, perché l’idea di aver dato ad un produttore le risorse per lavorare e poi firmare gli artisti mi riempie di gioia, è una delle piccole grandi eccellenze italiane che creano una necessaria diversità culturale, uno spartiacque fra la vecchia musica e la nuova”.
Come avete capito che sarebbe cambiato il mercato fra la “vecchia musica” e la “nuova musica”?
“Io vengo dal vecchio mercato, quindi quando ho visto che c’era un po’ di stantio nelle produzioni… abbiamo capito che mancavano voci nuove: nel 2009 la discografia segna il suo annus horribilis, l’anno più basso in termini di fatturato, di aderenze al mercato, di interesse. Lo streaming non esisteva, all’epoca si parlava del download ma il digitale per com’era non riusciva a sostituire i supporti fissi. E quindi succede che c’era una classe di artisti “storici”, ma mancavano i nuovi: la mia idea fu prima quella di investire nella ricerca di artisti e produttori diversi, innovativi, come ad esempio DJ Ash che mi porta poi Salmo, Gemitaiz e tanti altri. Abbiamo firmato prima di tutti un sottobosco che si stava affermando, che veniva dal basso, che veniva dalle condivisioni social che iniziavano a diventare conversioni. Ci siamo così diventati gli IN store per farci mettere i dischi nei negozi e promisi loro di portare gli artisti nei negozi: in questo modo abbiamo tenuto in piedi il mercato discografico almeno fino all’inizio della pandemia. È per questo che posso affermare con serenità che Artist First ha innovato tanto e ci siamo trovati nella posizione di poter dire alle multinazionali “siamo noi gli innovatori, siamo noi quelli che innovano, sono gli imprenditori musicali quelli che innovano”. Sarò sempre un imprenditore che cerca prima degli altri le cose su cui puntare, per una questione di necessità: se hai una montagna di soldi le opportunità te le compri, quando non ce li hai sei costretto ad innovare, quindi le devi cercare”.
E poi?
“E poi quando le multinazionali hanno capito che i vari Salmo, Gemitaiz funzionavano mi sono buttato sull’indie italiano che non esisteva e che nasce per una fenomenologia territoriale: a Roma andarono via le case discografiche e diventò una immensa cucina a cielo aperto in cui i ragazzi non riuscivano più a portare i dischi verso il loro album o le loro registrazioni in un mercato di sbocco, così nasce quella forma di pop italiano che ha un linguaggio completamente diverso, non mediato: l’innovazione è stata quella di cambiare pelle e sopportare anche il peso di una pandemia. Nonostante non abbiamo lavorato nel 2020 – 2021 abbiamo continuato ad assumere e ad avere una bussola ben precisa: non sapevamo quanto sarebbe durata, ma ci abbiamo creduto e abbiamo riflettuto su cosa poteva funzionare e cosa no, senza mai smettere di continuare ad innovare e lavorare nel merchandising e mettendo le basi per rendere questa la casa degli artisti perché sono nato discograficamente in un’azienda come la Carosello che era un salotto degli artisti, mi è piaciuto ripetere la storia: la nostra azienda è la casa degli artisti, che vengono qui, si sentono a loro agio, stanno con i ragazzi he lavorano con loro perché innovare non è un processo meccanico ma totalmente umano”.
Progetti per il futuro?
“Credo molto in Alfa che ha già dei numeri molto importanti: lo conosco da quando era minorenne, oggi ha 22 anni e il nostro percorso insieme continua. E poi Waco, un altro artista-autore che ci potrebbe riservare delle grandi sorprese”.