Istituzioni

Crisi di Governo, il PNRR? “Non è in pericolo”

A tu per tu con Fulvio Pastore, costituzionalista e Professore ordinario di Diritto costituzionale al Dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli studi di Napoli Federico II: cosa comporta, praticamente, la Crisi di Governo e un'eventuale caduta?

Con la crisi di Governo innescata dalle dimissioni presentate da Mario Draghi e rifiutate da Sergio Mattarella, oltre al bailamme politico, molte sono le perplessità sollevate da una improvvisa “interruzione” dei lavori del Governo c.d. “dei migliori”. Ad esempio: che fine farebbero tutti gli interventi programmati del PNRR? Come si andrà a votare un Parlamento “ridotto” nei numeri con la vecchia legge elettorale? F-Mag ne ha parlato con Fulvio Pastore, costituzionalista, Professore ordinario di Diritto costituzionale al Dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli studi di Napoli Federico II.

Professor Pastore, cosa vuol dire in questo momento una crisi di Governo o addirittura la caduta del Governo Draghi in termini di percorsi avviati come quello del PNRR?
La nostra è una forma di governo parlamentare, nel senso che l’esecutivo trae la propria legittimazione a governare dal rapporto di fiducia con le due Camere parlamentari. Tecnicamente, una crisi di governo parlamentare si verifica nel caso in cui il voto di una delle due Camere recida il rapporto fiduciario. Questo non è accaduto. Ci troviamo, quindi, dinanzi a una crisi di governo di tipo extra-parlamentare che è stata determinata da dimissioni spontanee del Presidente del Consiglio, nonostante la conferma della fiducia da parte delle Camere, per motivi politici legati a dissensi interni alla coalizione di maggioranza. Non è qualcosa di insolito, anzi, quasi tutte le crisi di governo in Italia (fatta eccezione solo per i due governi presieduti da Romano Prodi, che sono caduti per il voto contrario di una Camera su una questione di fiducia) sono state crisi extraparlamentari. Bene ha fatto, dunque il Presidente della Repubblica a invitare il Presidente del Consiglio dei Ministri a recarsi dinanzi alle Camere parlamentari per verificare la possibilità di proseguire con l’attuale governo e l’attuale maggioranza. Solo in caso di esito negativo di tale verifica, il Capo dello Stato deciderà se sia il caso di provare a costituire un nuovo governo oppure sia preferibile sciogliere le Camere parlamentari e indire elezioni politiche anticipate. Un governo dimissionario o sfiduciato, in ogni caso, deve continuare a svolgere l’ordinaria amministrazione. Nel caso del PNRR, trattandosi dell’adempimento di obblighi comunitari assunti dall’Italia, non vi è alcun dubbio che qualsiasi governo in carica sarebbe tenuto a dare esecuzione ai programmi approvati e agli obblighi assunti dall’Italia nell’ambito del PNRR, e ciò anche nelle ipotesi di un governo dimissionario o di un governo sfiduciato o di un nuovo governo che non abbia ancora ottenuto la fiducia. Certo, il problema sarebbe più politico che giuridico perché è evidente che a livello europeo e internazionale un governo politicamente debole con una Presidenza del Consiglio non autorevole troverebbe un’apertura di credito e una disponibilità limitate da parte di qualsiasi interlocutore“.  

In molti in queste ore si sono chiesti, nel caso di un ritorno alle urne, come la riforma istituzionale del 2020 in termini di numero di rappresentanti in Camera e Senato possa coniugarsi con l’attuale legge elettorale (dato che una nuova non è stata approvata in questi due anni). Qual è la possibile soluzione e quali i rischi?
L’attuale legge elettorale (c.d. Rosatellum bis) è un sistema misto, né del tutto proporzionale né del tutto maggioritario, altamente disfunzionale, perché nonostante la notevole capacità manipolativa non assicura, né in vero favorisce, la formazione di una maggioranza in grado di sostenere un governo in entrambi i rami del Parlamento. In linea teorica ci sarebbe bisogno dell’introduzione a livello costituzionale di adeguati elementi di stabilizzazione e razionalizzazione della forma di governo (che non contemplino l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo), così come ci sarebbe bisogno di una riforma elettorale che introduca un sistema meno disfunzionale di quello in vigore e che consenta agli elettori di esprimere un gradimento diretto alle persone candidate da eleggere in Parlamento. Difficile, però, che si riescano a varare queste riforme in extremis, sia per il poco tempo a disposizione, sia per la difficoltà di trovare un accordo sul punto tra le principali forze politiche. Non c’è dubbio che a legislazione elettorale invariata, nella prossima legislatura avremo una significativa riduzione del pluralismo e del grado di rappresentatività delle Camere parlamentari, poiché c’è il rischio che diverse forze politiche presenti a livello nazionale e rappresentate in Parlamento non superino le soglie di sbarramento o comunque ottengano pochissimi seggi. Quasi certamente, ci saranno aree territoriali importanti e ampie che, soprattutto a livello di Senato, non riusciranno a esprimere parlamentari. Non è molto probabile che uno dei cartelli elettorali che si andranno a formare ottenga un’ampia maggioranza in tutte e due le Camere. Anche se questo dovesse sorprendentemente accadere, il rischio sarebbe quello della nascita di un Governo con scarse prospettive, che rischierebbe di cadere rapidamente a causa della litigiosità e disomogeneità dei cartelli elettorali che si prospettano oppure a causa della mancanza di una leadership forte e autorevole sia a livello nazionale che internazionale. Si può facilmente prevedere che una maggioranza di governo, non corrispondente a nessun cartello elettorale, si vada a costituire, a inizio legislatura o in corso di legislatura a seguito di una crisi di governo, con un Presidente del Consiglio non coincidente con nessuno dei leader dei cartelli elettorali“. 

Quali secondo il suo punto di vista i possibili scenari da qui a mercoledì, quando il Presidente del Consiglio riferirà in Parlamento?
Spero, per il bene del Paese, che la frattura politica aperta si ricomponga all’esito della verifica in corso e che ci sia un rinnovato patto di maggioranza per sostenere il governo di unità nazionale presieduto da Draghi. Ovviamente è molto difficile fare previsioni. Occorrerebbe da parte di Draghi la capacità di raggiungere una sintesi superiore delle diverse posizioni politiche di maggioranza attraverso una compenetrazione degli opposti ma devo ammettere che sinora il Presidente del Consiglio non ha brillato particolarmente per capacità di dialogo e di mediazione, anche perché non ha grande esperienza politica parlamentare. D’altra parte, occorrerebbe che i leader delle singole forze politiche della coalizione facessero prevalere gli interessi generali del Paese sulle pur legittime aspettative di parte ma anche in questo caso gli atteggiamenti prevalsi sinora non sono confortanti. Il Presidente della Repubblica ha svolto e continuerà a svolgere un ruolo prezioso su entrambi i fronti. Ma nel caso l’accordo non si trovi, si aprirà la strada a uno degli scenari già prospettati: nuovo governo o elezioni anticipate. In ogni caso, non abbiamo molto da temere, perché la nostra democrazia e in particolare la nostra forma di governo parlamentare hanno dimostrato, nel corso dei settanta anni di storia repubblicana, di essere mature e stabili, superando crisi politiche ben più profonde di quella attuale e tensioni istituzionali molto più drammatiche“. 

Federica Colucci

Napoletana, classe 1990, Federica Colucci è giornalista, HR e communication specialist. Già responsabile della comunicazione dell'Assessorato al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli, ha come expertise i temi del lavoro, del welfare e del terzo settore. È l'anima e la coordinatrice di F-Mag.

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