La Lega che sa come far parlare di se: la “trappola” dei 20k per i matrimoni in Chiesa
Chiaramente, il fenomeno matrimoni-figli-denatalità-unioni civili è più complesso di così e e caleidoscopicamente sfaccettato. In primis, svegliamoci un po' tutti (cari amici della Lega soprattutto): il 1800 è passato da un bel po', non è detto che un figlio nasca per forza di cose in costanza di matrimonio, né che per sposarsi sia necessario credere in un Dio maggiore (o minore).
Oh, ci risiamo. Per l’ennesima volta, la Lega tira fuori dal cilindro un argomento che è già finito sulla bocca di tutti: siamo di nuovo caduti nella trappola disperata del “purché se ne parli” dato che, per molti personaggi che siedono fra gli scranni delle istituzioni, prendere in considerazioni questioni dirimenti non sembra essere abbastanza accattivante.
La Lega e il bonus matrimoni: tutta la superficialità in un ddl
Ma andiamo con ordine. Argomento del giorno nei trend di Google e di Twitter è il bonus fiscale fino a 20 mila euro per sostenere le spese di chi si sposa in Chiesa, che arriva da cinque deputati leghisti (Domenico Furgiuele, Alberto Gusmeroli, Simone Billi, Ingrid Bisa ed Erik Umberto Pretto), presentata ieri sera (domenica, magari dopo l’ammazzacaffè) nel ddl alla Camera dei deputati.
In altre parole, si tratterebbe di un contributo (a fondo perduto probabilmente) fino a ventimila euro (si, ventimila soldini) per le coppie che decideranno di sposarsi nel sacro vincolo del matrimonio ma esclusivamente in Chiesa. Ma l’imbarazzo di un Paese che si professa come laico – ricordo a tutti l’articolo 8 della nostra amata e vessata Costituzione, che recita
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
non finisce qui. No: tra le (ancor più goffe) condizioni vi sono: l’età degli sposi (che deve essere tassativamente under 35, altrimenti ciao), che il reddito complessivo della futura coppia di neosposini sia sotto i 23 mila euro e che, ovviamente – altrimenti non sarebbe la Lega che conosciamo – abbiano entrambi la cittadinanza italiana da almeno 10 anni.
In poche righe, il trionfo della pacchianaggine è servito: inutile dirlo, in un batter d’occhio i social network sono impazziti, Palazzo Chigi si è risentito tanto da dover specificare che “la misura non è allo studio del Governo”, l’opposizione ha ululato peggio di un gol segnato ai rigori della finale dei Mondiali e, alla fine, la stessa Lega ha ritrattato l’informazione fornita. Come riporta il Corriere della Sera, il primo firmatario
il leghista Domenico Furgiuele, corregge il tiro: «La proposta di legge volta a incentivare il settore del wedding, che per questioni di oneri prevedeva un bonus destinato ai soli matrimoni religiosi, durante il dibattito parlamentare sarà naturalmente allargata a tutti i matrimoni, indipendentemente che vengano celebrati in chiesa oppure no».
Insomma, che cattivi tutti noi (e voi) che avete pensato male: non si voleva mancare di rispetto a nessuno, in fin dei conti siamo pur sempre una democrazia che tutela i diritti di tutti, mica poca roba. Suvvia. E poi lo dice anche l’ISTAT, i matrimoni in Italia sono in calo: a febbraio 2022 il report indicava che nel 2021 le unioni celebrate in Italia sono state 96.841, il 47,4% in meno rispetto al 2019, con un calo relativo soprattutto alle nozze con rito religioso (-67,9%) e i primi matrimoni (-52,3%).
Un dato, questo, che rispecchia altro: in Italia probabilmente non ci sono (o non sono alla portata di tutti, il che è ancor peggio) le condizioni per mettere su famiglia. E chi pensa che sposarsi o meno dipenda esclusivamente da “un risparmio” economico nel giorno dell’unione legale e formale di una coppia, è completamente fuori strada.
Famiglia, figli e altre belle storie: non prendiamoci in giro!
Chiaramente, il fenomeno matrimoni-figli-denatalità-unioni civili è più complesso di così e e caleidoscopicamente sfaccettato. In primis, svegliamoci un po’ tutti (cari amici della Lega soprattutto): il 1800 è passato da un bel po’, non è detto che un figlio nasca per forza di cose in costanza di matrimonio, né che per sposarsi sia necessario credere in un Dio maggiore (o minore).
Quindi, per prima cosa, consentitemi di smontare un concetto: le cause della de-natalità non sono da ricercarsi sinallagmaticamente nei mancati matrimoni, quanto piuttosto in due macro-temi dolorosi per il nostro Paese. Lavoro e welfare, welfare e lavoro, elementi che sono irrimediabilmente connessi.
Qualche mese fa scrivevo che
se siamo un Paese di vecchi la colpa non è solo nostra: la generazione fertile, quella che va dai 20 ai 40 anni circa, ha perso la bussola della “normalità” già da parecchi anni. Rispetto alla generazione dei nostri avi, i così detti baby boomers nati fra gli anni ’40 e ’60 che hanno vissuto il boom economico (e demografico) del post-guerra, le generazioni a seguire già dagli anni ’80 hanno iniziato a pagare lo scotto di vivere in un mondo diverso, complesso, globalizzato, dove già iniziava a diffondersi il termine “disoccupazione” e “denatalità”.
A pesare nel mondo contemporaneo, quindi, ci sono diversi fattori che incidono sulla maternità: non la semplice volontà di “non avere un figlio” – dovuta, fra l’altro, alla diffusa presa di coscienza di non voler rispondere a nessun obbligo sociale o pressione biologica- ma il confrontarsi con condizioni lavorative, economiche e sociali sempre più complesse.
Per esigenza di sintesi, e senza addentrarci in tematiche più complesse come il gender gap e l’impossibilità delle adozioni (e del matrimonio) per le coppie omosessuali, potremmo dire che è sotto gli occhi di tutti che viviamo in un mercato del lavoro quasi immobile, un’ascensore sociale rotto da tempo, una mancato taglio dei costi del lavoro (che non consentono l’aumento degli stipendi e spesso anche la contrattualizzazione) e, soprattutto, stipendi non adeguati al costo della vita (da trent’anni, mica bruscolini).
Al tempo stesso, si continua a pagare lo scotto dell’assenza di un welfare familiare, ossia una sorta di rete di protezione che offra un supporto alla famiglia (non al singolo), con politiche di conciliazione fra maternità-paternità e luogo di lavoro, asili nido più accessibili, mutui e affitti a tassi agevolati e così via. Cose che nel resto d’Europa sono realtà: non parliamo mica dell’Iperuranio.
Il trappolone della Lega
Per onestà intellettuale vorrei però provare a spezzare comunque una lancia in favore della proposta della Lega: la misura potrebbe essere vagamente e lontanamente inquadrata come spinta e supporto al settore del wedding, uno dei settori più in auge nel nostro Paese che negli ultimi due anni ha vissuto in malo modo la congiuntura pandemica, sebbene non siano mancate misure di ristoro (probabilmente insufficienti).
Ma, anche qui, mi risulta difficile “giustificare” un ennesimo bonus: dovrebbero questi essere intesi come misure di emergenza straordinaria, non ordinaria (sfido chiunque a dire che non si trovi un bonus per qualsiasi cosa) che, seppur necessaria, non può essere per sempre. Il difetto italico è sempre lì, più evidente ogni giorno che passa: con i bonus ci stiamo facendo del male da soli, indebitandoci come Paese e dopando un mercato (quello degli acquisti, del lavoro, dei servizi e così via) senza realmente porre in essere politiche di crescita economica stabile nel tempo.
E allora, mi vien da pensare una cosa: siamo tutti ricaduti nel trappolone della Lega che getta fumo negli occhi per far parlare di se, per essere presente – non importa se bene o male – sui tabloid e sulle testate online. Perché da qualche parte ci sarà pure qualcuno che darà ragione a chi propone una norma che discrimina il credo, l’età e sia concepita in memoria di un antico quanto mai sopito patriarcato. E’ la regola (non scritta) della comunicazione vacua, utile a se stessa, realizzata in ottica di like e follow, urlata al vento dei social network, offensiva – in ultima istanza, ma non meno importante – per gli stessi fedeli che si vedono “mercificare” un sacramento in cui credono davvero.
Allora, forse il bonus matrimoni non è ciò che si aspettano le famiglie italiane per andare avanti e sopravvivere all’inflazione che impenna e ci impoverisce ogni giorno di più: servirebbero politiche di sviluppo economico e sociale più pragmatiche, che diano un respiro economico ad ampio raggio (e non settoriale), che inneschino nuovi posti di lavoro, nuovo benessere, contrastino l’evasione fiscale.
Altrimenti sono chiacchiere da bar, parole un po’ ubriache dopo l’ammazzacaffè della domenica, dove tutto è possibile e si sorride ad ogni proposta: peccato che lo scenario non sia questo ma la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana e ognuno di noi dovrebbe aspettarsi di più da ognuno di loro.